Daspo

Il Daspo (acronimo di Divieto di Accedere alle manifestazioni Sportive), da non confondere con il Daspo urbano di recente modifica con il DL Novembre 2018 o quello per i corrotti, nasce come misura amministrativa atta a contrastare il fenomeno della violenza negli stadi, introdotta con la Legge 13 dicembre 1989 n. 401, successivamente più volte modificata fino al D.L. 119/2014, convertito con modificazioni dalla L. 146/2014, il quale ha introdotto nella pregressa normativa in materia di violenza negli stadi il cd. “Daspo di gruppo”.

A cosa serve?
Impedisce ai soggetti cui è applicata di accedere nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive e precisamente, nei luoghi in cui le stesse si svolgono ed in quelli destinati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime. Può durare da uno a cinque anni, salvo che per il Daspo di gruppo che prevede una cornice edittale che arriva fino ai 3 anni nei confronti dei singoli responsabili accusati di semplice partecipazione attiva, e da 5 a 8 anni – con il cd. obbligo di firma – nel caso di recidivi.
Normalmente, anche se è solo una possibilità, alla misura si accompagna l’obbligo di presentazione ad un ufficio di polizia in tutte le giornate in cui si svolgono le manifestazioni vietate.
Come viene emesso il Daspo?
Sulla base di una semplice segnalazione di Polizia, il Questore ha la facoltà di emettere il Daspo ai soggetti identificati per avere tenuto una condotta tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica o per coloro i quali abbiano violato il regolamento degli impianti sportivi in maniera recidiva o, ancora, nei confronti di persone che risultano denunciate o condannate, anche con sentenza non definitiva, per determinati reati nel corso degli ultimi cinque anni.
Una volta comminata, la misura è notificata all’interessato nonché, ma solo in concomitanza del c.d. obbligo di firma, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale competente.
In quest’ultimo caso, dalla suddetta notifica decorre il termine di 48 ore cui deve seguire la convalida da parte del Giudice per le indagini preliminari, questo perché l’obbligo di firma esula dal provvedimento amministrativo.

Profili costituzionali
Molto discussa è la costituzionalità di questo provvedimento applicato in assenza di un regolare procedimento e sulla base di una semplice segnalazione.
La Corte Costituzionale è intervenuta sul punto con una sentenza a dire il vero ormai un po’ datata (n. 512/2002), inquadrando l’istituto tra le misure di prevenzione, ossia che possono essere inflitte indipendentemente dalla commissione di un reato, compromettendo di fatto alcune libertà fondamentali come quella di circolazione (art. 16 Cost.), ma piuttosto vaghi rimangono i contorni di una misura che viene molto spesso emessa per comportamenti che non solo non costituiscono reato ma che addirittura rimangono completamente estranei e neutri rispetto ai profili penalistici.

Come difendersi?
Per prima cosa bisogna distinguere due profili della vicenda: 1) l’obbligo di firma per cui è competente lo stesso Gip incaricato della convelida; 2) il Daspo che è un provvedimento puramente amministrativo.
Per entrambi, ad ogni modo, il motivo di revoca è comune: devono mutare o venir meno le condizioni che ne avevano giustificato l’emissione.

DASPO di gruppo
Molto più odioso, e difficilmente comprensibile, è il caso in cui la misura venga collettivamente applicata secondo un principio fuori da ogni logica: tutti coinvolti, tutti colpevoli.

La riforma sul Daspo di Gruppo ha ampliato la cerchia dei potenziali destinatari della misura, estendendola anche a chi è denunciato o condannato per l’esposizione di striscioni offensivi o violenti o razzisti, per altri gravi delitti (tra i quali rapina, spaccio di stupefacenti e detenzione di materiale esplosivo) o per i reati contro l’ordine pubblico.
Come difendersi in questo caso? Il principio generale è che il Daspo può essere disposto non solo nel caso di accertata lesione dell’ordine pubblico, ma anche in quello di semplice pericolo di lesione, come accade nel caso di condotte che comportino o agevolino situazioni di allarme o di pericolo.
In linea di principio è quindi legittimo il provvedimento, in presenza di episodi di violenza collettiva, che colpisca anche chi non essendosi reso personalmente protagonista di uno specifico atto di violenza, abbia tenuto nell’ambito del gruppo, una condotta partecipativa che ha posto in pericolo la pubblica sicurezza o comunque ha turbato l’ordine.
Fate molta attenzione però: non è la semplice presenza a destare turbamento o allarme, e quindi a giustificare l’adozione della misura, bensì la partecipazione individuale all’azione del gruppo e ciò in quanto la responsabilità penale è personale.
Tale presupposto è indefettibile: nessuno può essere sottoposto ad una limitazione personale per fatti commessi da altri. E’ assolutamente necessario che il pericolo sia ricondotto alla condotta del soggetto.
Questa normativa, ad oggi, può considerarsi priva di efficacia concreta, anche alla luce degli arresti di numerosi tribunali amministrativi che hanno accolto i ricorsi presentati da alcuni tifosi colpiti da Daspo sospendendo l’efficacia del provvedimento interdittivo.
Due sono le principali direttrici: 1) provvedimenti favorevoli nell’ambito di connessi procedimenti penali; 2) mancato raggiungimento della prova sull’individuazione personalmente dei partecipanti agli episodi incriminati.

In assenza dei requisiti di cui abbiamo parlato o in presenza degli assunti che hanno giovato presso i tribunali amministrativi, sussistono, pertanto, i presupposti per ottenere l’annullamento.

In ogni caso, stante i tempi ristretti entro i quali, in genere, avviene la convalida da parte del Gip, è opportuno che il soggetto coinvolto si attivi immediatamente alla nomina di un esperto nel settore per evitare un “giudicato di fatto” capace di compromettere sin da subito le chance di revoca del provvedimento.

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